Al momento della riapertura dell’attività lavorativa post lockdown è subito sorta la questione legata all’eventuale imputazione penale del datore nel caso in cui uno o più lavoratori venissero contagiati.
Inizialmente il Decreto Liquidità n.23/2020 aveva previsto che il contagio in occasione di lavoro dovesse intendersi quale “infortunio sul lavoro”. Successivamente l’INAIL con la circolare del 20 maggio 2020 aveva tentato invano di chiarire i dubbi sorti.
In primiis va sottolineato che il codice penale prevede che – ai fini della condanna – venga provato il c.d. nesso di causalità (art. 40 c.p. : “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l’esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione).
Ossia vi deve essere un rapporto di causa ed effetto tra l’azione e l’evento; cioè la condotta (del datore) deve essere la causa che ha provocato l’evento (il contagio).
Senza di esso nessuna condanna può essere emessa
Peraltro per ottenere una sentenza punitiva sarà necessario dimostrare il fatto che il datore sia colpevole (c.d. colpa) per non aver rispettato tutti i protocolli aziendali previsti ex lege.
Detto ciò, è utile che il datore di lavoro tenga un archivio da cui risultino per iscritto i protocolli adottati, in cui vengono specificati le misure e le attività svolte ai fini della prevenzione del contagio sottoscritti anche dai preposti ai controlli in materia di sicurezza sul lavoro.
In definitiva è importante, in caso di contenziose giudiziario, che il datore possa provare documentalmente di essersi attenuto a tutti i protocolli e attività previste dai decreti emessi.